"LA VIA PER IL SACRO"

L'intero complesso dei rituali del Nostro Venerabile Ordine rappresenta lo strumento dell'esercizio del Culto Divino. Questo deposito docetico, che ci è giunto dalla tradizione ed è stato filtrato dalle tante incrostazioni frutto della incapacità di comprendere il senso intimo del sacro fare, è la forma, la cadenza, i tempi e i modi attraverso cui i Fratelli, di ogni grado, adempiano a questo servizio. Il quale è la ragione unica del nostro essere iniziati e dal quale troviamo conforto, protezione, ristoro ed elevazione.

Il rito in tal senso si configura come un insieme di gesti, formule e consuetudini che vengono ripetuti e che sono aderenti a norme codificate in maniera più o meno rigida. L’operatore che pone in atto queste gestualità cerca così di porsi in contatto con la dimensione del sacro, o con quella che egli ritiene essere la dimensione del sacro. Nell’esperienza spirituale il rito è sicuramente centrale ed è strumento e veicolo per entrare in contatto con la dimensione invisibile, a prescindere che essa sia effettivamente manifestazione del sacro o manifestazione di altre forze. Il rito, specialmente laddove sia codificato secondo norme precise, eseguito fedelmente e porti in sé la forza della dimensione eggregorica, assolve alle sue funzioni ponendo in movimento l’apparato simbolico di riferimento, dinamizzandolo con l’intenzione dell’operatore e di conseguenza agendo su vari piani costitutivi dell’uomo e dell’ambiente subconscio, morale, materiale e sottile. A prescindere da quali che siano le credenze, o le non credenze, il rito sortisce sempre un effetto, l’esistenza stessa di forme rituale anche profane d’altra parte esprime l’innata esigenze dell’uomo di ritualizzare le proprie consuetudini. I livelli di effettività del rito sono molteplici, in particolare il rito sacro va a toccare i livelli profondi, spesso seminando semi invisibili anche nell’uomo più arido spiritualmente. Affinché la ritualizzazione sia tale, è necessario che sussistano gli elementi intenzionali, soggettivi e oggettivi, che configurano l’esecuzione di un rito nel perimetro di una forma eggregorica connessa alla ricerca dell’ambito sacro. Se, come già scritto altrove, è vero che non tutto ciò che è invisibile attiene alla sfera del sacro, così è vero che non tutto ciò che è simbolo e rituale (o rito) sonda i perimetri della divina sacralità.

Il rito, nella storia delle culture spirituali, spesso trae origine dalla rappresentazione del mito, il teatro sembrerebbe proprio derivare da ciò. Il rito assume in tal senso quindi anche una valenza drammatica, una rappresentazione atta a rievocare il mito. Esiste una linea di continuità tra il simbolo, la rappresentazione artistica, il rito e il mito, sono tutti elementi che uniti tra loro generano l’universo della mitopoiesi e danno vita ad un eggregore. Il rito come rappresentazione del mito ritorna in maniera centrale nella religio cristiana, dove la Divina Liturgia, o Messa, è la rappresentazione del mito fondativo. L’ambito cristiano però va oltre la dimensione antropologica del mito, è la rappresentazione storicizzata della ierofania, o almeno tale è il sentimento di chi si professa cristiano, ma si tratta di un elemento discriminante e che andrebbe tenuto in considerazione nell’alveo delle scuole iniziatiche occidentali, che in buona parte si rifanno proprio all’ambito cristiano. Così il rito per eccellenza cristiano non è solo rappresentazione drammatica del mito, ma è, teologicamente e dogmaticamente parlando, riproposizione dell’evento centrale della narrazione cristiana, il rito diventa atto in cui fattivamente la dimensione spazio-temporale si sospende e il piano divino e trascendentale si manifesta sul piano materiale. Tale concetto ruota attorno al dogma della transustanziazione, che differenzia l’approccio cattolico e ortodosso da quello protestante, dove invece è assente e il culto è un vero e proprio rituale drammatico, che ripropone il memoriale del mito fondativo ma non pretende di riviverlo. Le tradizione iniziatiche occidentali realmente tradizionali non pretendono invece di snaturare il rito centrale dell’Eucarestia, non vi è l’intenzione di sovrapporsi ad esso, per varie ragioni che non è il caso di sondare in questa sede.

Se la Divina Liturgia è modello di ogni rito in ambito religioso e iniziatico occidentale, esistono tuttavia numerose altre forme di ritualità che tracciano un altro importante spartiacque rispetto a tradizioni non allineate in tal senso. Tali forme rituali, che classificheremo in maniera molto ampia sotto la dicitura di Culto Divino, non agiscono infatti in virtù di poteri personali dell’operatore, ma sempre alla luce del carisma iniziatico che rende l’operatore veicolo e strumento di quella che cristianamente viene chiamata Grazie e Spirito Santo, ma che nei nostri perimetri ad esempio può anche essere identificata come Shin, Fuoco Sacro, Sacro Nome, Formula Pentagrammatica. E’ assurdo allora concepire il rituale come strumento per fare sfoggio di presunti poteri sovrumani, oppure per arrogarsi la capacità di costringere le intelligenze superiori a manifestarsi a comando.

Esistono tuttavia forme rituali che assolvono precisamente a tali scopi coercitivi, ma non rientrano nell’ambito del Culto Divino (escludendo però l’esorcismo, che invece è parte integrante del Culto Divino) in quanto sono rivolte a manipolare entità di rango inferiore rispetto all’uomo e la cui messa in atto deve essere sempre dosata alla luce della propria maturità iniziatica.

Le forme rituali, nei nostri perimetri, compaiono in ogni stadio del cammino iniziatico, e vanno a coprire un’ampia gamma di significati, che vanno dalla contemplazione, alla terapeutica, alla purificazione, all’invocazione teurgica, all’esorcismo, alla consacrazione, fino ad arrivare alla ritualità sacerdotale. Il rito è anche espressione, spiritualmente parlando, delle possibilità che ha l’uomo di porsi in relazione col piano sacro, narrano infatti i testi che si trovano al vertice dei nostri perimetri, che il Culto Divino esistesse già nella dimensione divina eterna prima della Prevaricazione, e che le forme del Culto Divino si siano sempre più ritualizzate con l’evolversi delle epoche e il dipanarsi delle civiltà nella storia, al punto che il rito, processo attuativo del Culto Divino, diventa anche il veicolo per permearsi della dimensione sacra e riconquistare i passi della Reintegrazione, innalzando muri invalicabili contro le potenze prevaricatrici.

Il percorso iniziatico tradizionale rende il Culto Divino fruibile per gradi e per tipologie rituali, un elemento importante però di ogni forma rituale è la ripetizione. Se volessimo giocare con le parole, ritornando al rito come rappresentazione del mito, la m di mito inserita nel cuore della parola rito, da come risultato il termine ritmo. Ecco che allora proprio il ritmo diventa centrale nel rito, il ritmo inteso come costante ripetizione delle medesime formule, che nei passi della via cardiaca è come il suono profondo della lettera ebraica Mem, la lettera madre connessa alle acque profonde, in cui ci si cala per ritornare alle proprie memorie ancestrali e attraverso la purificazione gettare uno sguardo oltre l’abisso nel mondo trascendente dell’eternità. Il rito diventa ritmo delle formule e dei sigilli angelici nella via teurgica, dove il teurgo acquisisce il carisma di della visione dei piani superiori attraverso i glifi che filtrano la luce solare superiore e divina. Il rito infine, nella via sacerdotale, diventa sacrificio, diventa sacrum facere, consacrazione dell’esistente e scaturigine del sacro nella dimensione profana.

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