MEDITAZIONE DEI 28 GIORNI

La Gnosi è veicolo e forma di redenzione

Nessun uomo è un'isola! Grande è questa verità, che ricorda - con poche lapidarie parole - l'interconnessione esistente fra tutti gli esseri umani. Una connessione che se vissuta inconsapevolmente può condurre a grandi rovine, ma se compresa nei suoi aspetti sottili può permettere ad ognuno di noi di protendersi verso il cielo. Crediamo fermamente in ciò e al contempo siamo consapevoli delle gravi limitazioni fisiche di questi strani tempi e del loro corrosivo agire sull'articolata composizione dell'uomo. In considerazione di ciò abbiamo deciso di creare dei canali operativi-rituali per permettere a tutti coloro che lo desiderano di poter intraprendere un percorso di silenziosa ed individuale Opera Interiore. Una di queste pratiche strutturate è la cosiddetta “Meditazione dei 28 giorni”. La cui finalità è quella di permettere al praticante di avere un congruo strumento per valutare il proprio livello dell’essere, guardando senza ipocrisia se il suo quotidiano agire è sorretto o è congruo con le proprie aspirazioni spirituali. Il ripetere, nel corso del tempo, questa “meditazione” potrà fornire un’utile una serie di immagini interiori, da cui trarre eventuali segnali di progressione o regressione

Contro il desiderio di potenza (1° e 2° Giorno) 

Vi sono due specie di miracoli: quelli naturali e quelli soprannaturali. L’esoterismo studia, fra gli altri problemi più importanti, i mezzi per produrre i miracoli naturali. Ma le sue pratiche - sempre parziali perché umane - provocano spesso confusione nello “spazio” immateriale e cagionano, a lunga scadenza, delle reazioni negative. Tutte le “operazioni” non sono cose infernali, come predicano molti, ma per comandare alle forze naturali dobbiamo prima essere padroni di noi stessi: se possediamo un potere dobbiamo usarlo per il bene, mai per i nostri interessi. Guardiamo sempre la nostra coscienza, che è il nostro custode, cioè il riflesso di Dio, e, prima di qualunque azione, chiediamo a Dio - attraverso la nostra coscienza - il permesso di farlo.

Contro la pigrizia (3° e 4° Giorno)

Vi è una pigrizia profonda che impedisce ogni cosa, ma ve n’è una più comune che spinge ad evitare i lavori noiosi. La prima è pressoché incurabile, la seconda si può guarire. Ma io so che qualunque lavoro è profittevole. Se io giudicassi il mio lavoro indegno di me, non sarebbe forse perché non ne comprendo il significato? Lamentarsi è indebolirsi. Farò dunque il mio lavoro anche se mi costerà qualche sacrificio. E voglio d’ora in poi lottare contro tutte le inerzie, siano esse in me o fuori di me.

Contro lo spreco (5° e 6° Giorno)

Se io ricapitolassi ogni sera quanti gesti ho fatto, quante parole inutili ho detto, quanti progetti ho gettato, quanti progetti senza scopo ho rimuginato, quante forze ho adoperato e distrutto per il mio vano capriccio, tale ricapitolazione mi servirebbe per convincermi che chi spende la propria forza e la propria intelligenza senza legittimo motivo, richiama su dei sé la debolezza e l’imbecillità. Devo quindi controllarmi, fare ogni cosa a suo tempo e con cura, perché io sono parte integrante di un “TUTTO” compatto e nulla si deve perdere delle energie che io emetto.

Contro l’egoismo (7° e 8° Giorno)

La mia intelligenza e le mie energie sono poste in moto solo dall’impulso che proviene dal centro che muove i miei desideri. Dovrò quindi scrutare i movimenti delle mie azioni scartando tutti quelli che non mi sembreranno indipendenti da una qualsiasi forma di egoismo. Soltanto allora il mio operato sarà sano, vivo, armonioso. La regola è dunque quella di servire l'Essere.

Contro la vendetta (9° e 10° Giorno)

Nessuno subisce l’odio e un insulto altrui senza averlo meritato. Se non vedo il motivo di questo odio o di quell’insulto vuol dire soltanto che sono miope e la logica mi dice di perdonare perché non si spegne un fuoco soffiandovi sopra e aggiungendovi altro combustibile. Solo così, con il mio doloroso perdono al quale obbligo il mio amor proprio, provocherò quel lampo di luce che si poserà sul cuore del mio nemico facendovi germogliare il rimorso e il pentimento. Così agendo sarò veramente superiore, conserverò, malgrado tutto, la serenità del mio aspetto, del sentimento, del pensiero.

Contro la cupidigia (11° e 12° Giorno)

Si può essere avaro e cupido senza essere ricco. Qualunque passione è cupida: chiunque accaparra felicità, ricchezza, notorietà o qualsiasi altra cosa per sé stesso defrauda gli altri. Non prenderò dunque alcuna altra cosa oltre quello che mi necessita, ma quando darò imiterò sempre la divina provvidenza che, ai suoi doni, aggiunge sempre qualcosa di più. Aggiungerò anch’io, alle mie rinunce, il superfluo di un sorriso o di una parola affettuosa perché, non ammassando cose spiritualmente improduttive, mi sentirò più leggero e più felice.

Contro l’elogio e il biasimo (13° e 14° Giorno)

Non voglio essere un cacciatore di illusioni, uno di coloro che, anziché cercare la testimonianza della propria coscienza, cercano l’approvazione, l’elogio altrui e se ne beano. I suffragi che si ricevono possono essere sinceri o ipocriti. Ma i primi, con la loro genuina freschezza, sono più pericolosi dei secondi. Non cercare l’elogio ed astenersi dal biasimo: ecco quel che conviene se ci vogliamo giudicare con giustizia. Anche perché l’affetto dei nostri amici li porta alla parzialità e l’interesse dei lusingatori tende a sedurci a loro profitto. Io non voglio che la virtù debba essere goffa e ridicola. Ma che la dignità interiore trasparisca, che la purezza dei miei pensieri dia linea al mio vestito, eleganza al mio portamento, nobiltà ai miei gesti e al mio parlare.

Contro la maldicenza (15° e 16° Giorno)

I vizi ed i difetti del mio prossimo mi turbano, mi urtano, provocano in me un senso di ripugnanza. Ma non ho anch’io vizi che ritengo virtù e difetti che penso siano pregi? Con quale diritto e con quale sicurezza posso io criticare, disprezzare i difetti altrui? Forse che gli altri non ritengono anch’essi che i loro vizi e difetti siano pregi o virtù? Giudicare è comparare con la perfezione, ma io non sono perfetto e ne consegue che il mio giudizio è difettoso, quando non è falso. Così, se accuso altri, posso commettere un’ingiustizia, incatenandomi a quel giudizio errato che si rivolterà contro di me.

Contro la menzogna  (17° e 18° Giorno)


L’astuzia, l’ipocrisia, non servono che il male; se do la mia parola con il beneficio d’inventario, creo una scissione tra il mio pensiero e l’atto, fra un sentimento interno e quello esterno. E ciò rappresenta un suicidio morale. Se rispetto la mia parola, non facendola servire a nulla di inutile, di falso, di egoistico (cioè dandola soltanto quando essa si presta a qualcosa di utile e giusto), essa si purificherà e diventerà ciò che era all’origine: creatrice e taumaturgica. Sarà, per coloro che l’hanno richiesta, una benedizione attiva e vivificante. Per questo sarò sincero nei miei pensieri, nelle mie parole, nelle mie opere.

Contro la calunnia (19° e 20° Giorno)

Calunniare qualcuno è un assassinio morale. D’altra parte la vittima di una calunnia non dovrebbe adontarsene. Chi mi può infatti attaccare se il mio destino non lo autorizza a farlo? E se io stesso non gliene do il diritto? Forse che io posso essere umiliato se non ne ho dato l’occasione? Non mi abbandonerò, dunque, ad alcuna delle passioni che tiranneggiano, che spogliano e le cui esigenze, mai soddisfatte, vorrebbero ridurre tutti gli uomini in loro schiavitù. Chi sa - e forse io potrei saperlo se avessi il coraggio di guardare dentro di me - quante sofferenze ho fatto subire agli altri, che avrebbero il diritto di rinfacciarmelo?

Contro la storditezza e l’impazienza (21° e 22° Giorno)

Imprudenza, imprevidenza, irriflessione, incostanza, negligenza, dimenticanza sono altrettanti difetti di attenzione che derivano dall’impazienza e che conducono alla caduta, allo scoramento, all’esaurimento. L’impazienza è una perdita di forza: che essa nasca da un ostacolo esterno o dalla mia goffaggine o presunzione, essa ritarda il risultato che insegue. Accrescere la potenza di attenzione è sorgente di pazienza, e la pazienza fonte di dolcezza, tenacia, oculatezza. Gli adepti possiedono i metodi per aumentare la potenza di attenzione, per calmare la fretta, moderare le effervescenze, liberare il pensiero. Chi non possiede questi metodi diventa un tiranno che distrugge e semina disordine. Io voglio essere un adepto e non un seminatore di discordia.

Contro la paura (23° e 24° Giorno)

Che devo temere se nulla può accadere che io non abbia meritato con il mio comportamento? Se io mi comporto bene nulla ho da temere: chi può attaccarmi è solo colui che è spiritualmente più forte di me, ma, proprio in quanto tale, mi darà il suo aiuto. L’inquietudine, il timore fanno impazzire l’intelligenza, accecano l’intuizione, provocano la disgrazia. Neppure il presentimento di una catastrofe deve turbare il saggio quando il dovere lo chiama, perché Giustizia e Misericordia stanno nelle mani di Dio. Chi potrà turbarmi se il Maestro cammina con me?

Contro l’insubordinazione (25° e 26° Giorno)

Le resistenze, i rifiuti, le discussioni, il broncio, le impazienze, le rivolte, le mormorazioni sono aspetti diversi dello stesso spirito di personalismo. L’essere umano, lo stesso Dio e il verme della terra non nascono quaggiù che per imparare ad obbedire. La rivolta conduce alla perdizione. Se la legge alla quale debbo obbedire mi appare ingiusta, la mia rivolta non farà che rafforzarla. Se invece sono così padrone di me da obbedire senza sforzo, nessuno avrà più il potere di comandarmi.

Contro la disperazione (27° e 28° Giorno)

Ciò che appesantisce le mie catene è che io non le credo giuste: e più mi arrovello per liberarmene più esse mi diventano pesanti. Qualunque piccola contrarietà è sufficiente per scoraggiare l’uomo che non ha la forza della rassegnazione e quella, più potente, della Fede e della Speranza. Se mi dispero è perché non ho saputo volere quando ciò era necessario e non ho trovato la forza di farlo per mancanza di Fede e di Speranza. Devo quindi volere e sperare.

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